Non abbiamo potuto vederci di persona con Beppe, che era appena rientrato a Roma da Napoli. Abbiamo quindi organizzato una videochiamata. Dolce curiosità: nel corso del dialogo, Beppe si interrompe per dare un bacio e salutare la nipotina.
Davide
L’anno scorso abbiamo pubblicato un volume che contiene i primi cinque dialoghi e la nostra Regola: otto punti, otto temi, otto sentimenti, otto parole che sono l’inizio nell’indagine che ci viene affidata dal cliente. Una di queste parole è la cura, l’uomo curiosus, colui che si prende cura. Poi questo lemma ha perso di significato, si è modificato: oggi il curioso è un po’ il ficcanaso. Invece prendersi cura delle cose è una modalità di come affrontare la vita. Per questo accanto al lemma cura, abbiamo messo la parola design, che vuol dire progetto, cultura di un progetto. Perché pensiamo che il prendersi cura può diventare veramente un progetto di vita.
Beppe
Il giving care, quindi il dare cura, prendersi cura, pare che sia uno dei più grossi sostegni biologici che abbiamo a disposizione per mettere in moto il nostro organismo e tenerlo vivo. Prendersi cura di qualcosa che non è soltanto sé stessi, ma è quello che in qualche modo ci comprende, che c’è intorno, è un atto vitale. Addirittura si è visto, in campo medico, che le persone con patologie severe, ma tremendamente sole, nel momento in cui veniva affidato loro la cura di qualcun altro o di qualcosa, addirittura tenevano a bada la propria malattia, rimandandone gli effetti assolutamente indesiderati. E del resto, se pensi alla comunità di San Patrignano, una delle prime cose che fanno per un tossicodipendente, che di solito è abbandonato e non riesce ad avere cura neanche di sé stesso, è metterlo a confronto con un cavallo. E il cavallo va strigliato tutti i giorni. Il cavallo riflette la cura che riceve. L’ippoterapia era un dato di fatto. Avevano cominciato così Muccioli.
È bellissimo oggi scoprire che la parola curioso abbia una relazione con cura, perché io ho sempre pensato che la curiosità fosse la bolla più grande per tenere viva la nostra mente, che non è il nostro cervello. Sono due cose molto separate. Anzi, ti ringrazio perché mi dai un’altra possibilità di inquadrare meglio l’attività del curioso.
Davide
Hai sottolineato una cosa fondamentale che è prendersi cura di se stessi, degli altri e delle cose attorno, perciò entrare in relazione, perché questo vuol dire relazionarsi: è la modalità più intensa per mantenere forte la vita dentro di noi. E per vita intendo l’evoluzione della vita, il crescere della vita, tutto quello che è il tema della conoscenza, perché più ti metti in relazione più conosci, ma non dal punto di vista della erudizione.
Quello che mi piace della nostra amicizia, del nostro sentirci, è che uno si immagina il musicista – gli stereotipi di oggi, no? – ma io vedo un uomo che va alla ricerca di sé stesso e del vero delle cose. E tra le varie cose che ti servono, tra i vari strumenti, usi anche il suono, la musica.
Beppe
Cominciamo stabilendo che ci sono due livelli. Uno è il livello superficiale, cioè tutto ciò che rimane in superficie, per cui una pianta è una pianta, un tavolo è un tavolo, e le cose, tutto sommato, le vediamo per quello che immediatamente riflettono. Poi esiste il livello approfondito, la profondità, l’approfondimento. Io ho scelto di occuparmi di musica perché è sicuramente il linguaggio che mi fa stare meglio. Quindi il suono è la chiave di rapporto anche con gli altri. Io mi facevo apprezzare, e quindi entravo in relazione con gli altri quando suonavo, molto meno quando parlavo, e anche in maniera disastrosa quando provavo a relazionarmi attraverso i sentimenti. I sentimenti li riuscivo ad esprimere facendo musica. Mi era molto più congeniale trasmettere un sentimento attraverso l’esecuzione musicale o la creazione musicale. Però io penso che quando tu hai bisogno di conoscere te stesso e ti lanci, ti immergi nel linguaggio che fai e vuoi sapere sempre di più di te stesso, non puoi fare altro che andare a fondo in quel linguaggio, cercando di scandagliare il più possibile. E c’è una cosa strabiliante, che quando arrivi nella parte più profonda di un linguaggio, questa confina con la profondità di altre cose. Quindi, piuttosto che risalire in superficie e riaffrontare per esempio il viaggio nella letteratura, ripartendo dall’alto, ti trovi già in profondità, entri in contatto con l’arte della letteratura. E ti viene ancora più facile comprenderla. Non sarà un percorso ordinario, perché ci entri attraverso altre porte, ma che si trovano nella profondità del linguaggio che hai scelto di vivere. Mi viene in mente Nino Rota, che si era laureato in lettere un anno e mezzo o due dopo essersi diplomato in composizione musicale. In brevissimo tempo ha conseguito una laurea in letteratura! Probabilmente ne sentiva il bisogno. Non era il famoso piano B, come qualche volta uno può pensare. Era Nino Rota, sapeva che avrebbe fatto musica tutta la vita ed era un suo desiderio collegare i linguaggi. Probabilmente nella sua vita c’erano stati contatti con la letteratura. E questa storia mi ha fatto pensare che fosse un completamento importante della sua vita di musicista. Io, come sai, sono partito come studente d’architettura, come appassionato d’architettura. E poi ho scoperto che Rousseau diceva che la musica era architettura liquida. Per cui tutto ciò che in qualche modo ha a che fare con strutture è un’architettura, ha un rapporto tra il pieno e il vuoto, che poi diventa addirittura il rapporto tra lo zero e l’uno nell’informatica, nella digitalizzazione. Il rapporto nella vita che è fatto di due poli opposti, il rapporto nell’energia che è fatto di due polarità opposte, positiva e negativa. Questo bipolarismo, che innerva tutto quello che secondo me abbiamo intorno e anche noi stessi, è una ricerca costante e continua all’interno del linguaggio.
Nel linguaggio della musica, per esempio, abbiamo una grande necessità di alternare prevedibilità e sorpresa. Perché la prevedibilità è l’elemento con il quale accompagni e hai il contatto con l’altro. La sorpresa è quello che tieni vivo quello che stai facendo.
Davide
Certo. Quando a Tiepolo i suoi discepoli chiedevano “Maestro, che cos’è pittura?”, si dice che rispondesse “Pittura xe campo de mesa tinta: un ciaro, un scuro”.
Beppe
Sì, assolutamente. In musica abbiamo battere e levare, abbiamo l’accento forte e l’accento debole, abbiamo la pausa e il suono. Alla fine la pausa è parte del suono, come effettivamente la mezza tinta che fa da sfondo ai due elementi. Appartiene, collega e congiunge. La musica fa questo: tra due note, un battere e un levare, c’è la pausa, l’assenza di suono, che corrisponde al tessuto sul quale stai andando a ricamare.
Davide
Assolutamente. Mi vengono in mente le due polarità fondamentali. Il bene e il male. Il vero e non vero. Il giusto e l’ingiusto. Il buono e il non buono.
Beppe
Questa è la bipolarità, secondo me, dell’universo. Oltre il nostro universo c’è un altro universo. Probabilmente di segno opposto. Perché se fosse dello stesso segno si respingerebbe. Invece, siccome è prossimo, è sicuramente di segno opposto. Il che conferma la necessità di questa convivenza tra le due realtà.
Comunque, se tu mi definisci un musicista, sì, io mi reputo un musicista, però negli ultimi anni di lavoro e di studio sul linguaggio in generale, mi sono convinto che il linguaggio del suono appartiene all’individuo dal punto di vista proprio biologico. Ho approfondito i meccanismi attraverso i quali noi percepiamo il suono: una membrana meccanica che vibra, vibra perché – cosa fondamentale – nell’ambiente nel quale noi esistiamo c’è l’atmosfera, c’è l’aria che si muove. Senza di essa, da qualsiasi sorgente di suono vibratorio non ci arriverebbe nessun suono, perché non c’è il mezzo. Infatti la Terra è l’unico pianeta al momento – su Saturno non hanno ancora svelato realmente come sono le cose, che ha il suono. Ora, è vero che noi la percepiamo attraverso l’orecchio, perché nell’orecchio esiste la coclea e all’interno della coclea esistono delle cellule particolari, le cellule ciliate, che vibrano per dimensione e per specificità in base alle frequenze di suono, dall’onda grave a quella altissima. Fin qua abbiamo capito perché il suono lo percepiamo e lo viviamo. La cosa sorprendente è che le ultimissime ricerche ci dicono che la cellula epiteliale, come quella del fegato o la cellula nervosa, ha una capacità in sé di percepire il suono direttamente. Quindi il nostro corpo recepisce direttamente il suono meglio delle cellule ciliate, perché mentre le cellule ciliate hanno un limite inferiore intorno ai 40 Hz fino a 18.000, 19.000, 20.000, ma non oltre, le cellule invece del nostro corpo e dei vari tessuti hanno una capacità di percezione che va da 0,5 non da 40. Significa che tutto ciò che realmente intorno a noi vibra, e c’è tantissima roba che vibra, il nostro corpo ne ha direttamente conoscenza. È purtroppo il nostro cervello che riceve il segnale dall’orecchio, ma se noi scindiamo cervello e mente, e la mente vogliamo considerarla come un elemento che appartiene ed è collegato all’intero sistema, in teoria noi potremmo sentire anche senza le orecchie.
Davide
Sto pensando che la vibrazione più intensa la potremmo chiamare emozione. L’hanno chiamata emozione perchè vuol dire emovere, muovere dentro.
Ossia l’emozione è la testimonianza di quello che tu hai detto. Perché l’emozione vibra tutto il corpo.
Beppe
L’emozione vibra tutto il corpo perché è profonda. La vibrazione delle cellule ciliate è paradossale, ma è superficiale. Ed è quello che il nostro sistema biologico ha scelto per selezionare i suoni, perché è chiaro che se noi sentissimo vibrare il monitor attraverso il quale ci stiamo in questo momento collegando, sarebbe un disturbo enorme. Abbiamo dovuto creare una serie di filtri per la sopravvivenza, abbiamo stabilito che le frequenze che ci servono sono da A, sono quelle importanti. Gli animali hanno bisogno invece di uno spettro molto più allargato, proprio per potersi orientare e difendere all’interno del sistema che vivono. Ecco perché percepiscono gli ultrasuoni e gli infrasuoni molto meglio di noi: il loro sistema all’interno di tutto il mondo animale richiede questa condizione. Ma il fatto di poter percepire con un senso più ampio e più profondo, secondo me, è l’auspicio. Anche perché l’homo sapiens è sfaticato: come riceviamo in dono dalla tecnologia un vantaggio, noi dismettiamo le nostre dovute funzioni. Per esempio, c’è stato un tempo in cui a memoria sapevamo i numeri di telefono di tutti gli amici e dei parenti. Dal momento in cui rimane tutto nella memoria del cellulare, non c’è più stato bisogno e abbiamo smesso di memorizzare.
Davide
La dismissione. Difatti il tema di esercitare la memoria è un tema molto importante. Una volta ci facevano imparare a memoria le poesie. Ma il tener viva la memoria è fondamentale. Tanto è vero che l’uomo che ha memoria è un uomo che sa raccontarsi. L’uomo che non ha memoria non si racconta, perciò non esiste. Perché avere memoria è ricordare, perciò passare attraverso il cuore. Re-cordo. Mentre tu ricordi, tu reinterpreti, perciò riconosci. Ri-conosci. Questa è veramente la cosa importantissima.
Beppe
La dismissione. Finché parliamo di una funzione tecnologica che viene in supporto della memoria e del numero di telefono, la cosa passa. La dismissione però è anche sentimentale, è dell’impegno nel sentimento. Perché secondo me noi dobbiamo recuperare quel senso di impegno, anche nell’affrontare. Ecco la famosa curiosità, ecco la famosa cura da mettere in campo proprio nella vita, per quello che c’è intorno, per quello che viviamo, che incontriamo. Quindi la dismissione del sentimentale è la parte più preoccupante, perché non la genera una tecnologia, ma la genera una cultura.
Davide
Tu hai detto dismissione sentimentale. E l’uomo il sentimento lo percepisce, ma non lo sa distinguere, non lo sa analizzare, non lo sa narrare, non lo sa nominare. I poeti addirittura creano le parole per esprimere un sentimento che hanno ritrovato o trovato nel profondo di loro stessi. Perché i sentimenti sono scoperte costanti. In tutti i terribili fatti di cronaca attuali, sono arrivato a una conclusione veramente terribile: l’uomo non sa più distinguere, non sa più capire, non sa più nominare e capire i sentimenti che lo scuotono, che lo muovono. E perciò l’omicidio, ossia l’uccisione, è il gesto inevitabile. Perché quando tu arrivi a una non comprensione, ti viene voglia di eliminare quella cosa perché interrompa questo dolore che è la incomprensione di sé stessi. Perché è un grandissimo dolore.
Beppe
Assolutamente. Hai ragione, possiamo dire che la prima vittima sia proprio lui. Ma questa mi sembra la visione cristica, ecco perché capisco anche l’atto del perdono. Il per-donare è l’immedesimazione nell’altro che ti porta inevitabilmente a capire che forse sei stato fortunato tu a comprendere, a distinguere, a nominare e a completare, o se non altro iniziare un processo vitale. L’altro che non ci riesce è da comprendere, è da compatire.
Davide
Cum patire, anche qua, patire assieme. Ma il perdono è la cosa più importante. Io ti dono una cosa. Il perdonare è un dono straordinario. Perché gli sveli una cosa che lui percepisce e capisce per la prima volta. Quando anche nell’educazione ai bambini si diceva “ti perdono”, era un gioco educativo raffinatissimo. Proprio ragionando sul tema della donazione, perciò del prendersi cura di, del donare, che sia cristica, o altro, non mi faccio riguardi e soprattutto non mi faccio limiti se penso che questo sia giusto.
Beppe
Nel dire cristico io semplicemente indico l’ipotesi di una persona che ha fatto questo ragionamento prima di noi. Non ne parlo come un dio, ma di uno che lo ha capito e l’ha compreso e che vede in una serie di regole una chiave per poter indicare agli altri uno stato di benessere. Perché alla fine si tratta di cercare il bene, ed il bene quando non è condiviso non è bene, è profitto, è una cosa completamente diversa.
Il bene ha senso solo quando è disinteressato, non prevede un ritorno o un coinvolgimento. Poi inevitabilmente accadrà, ma non è mossa da questo ritorno.
Invece, tornando alla faccenda delle vibrazioni, negli ultimi tempi ho la sensazione che la musica ci attraversi in tutto e per tutto e che sia un linguaggio di benessere sempre. Anche quando qualcuno sta esprimendo un disagio nel creare musica, tutto sommato è un disagio che attiene ad una mancanza che vive e quindi ha un bisogno d’amore. Ecco perché l’espressione musicale, anche quando nelle parole contiene segnali contraddittori, alla fine è un’espressione d’amore. E’ sempre musica d’amore. Poi qualche volta rimane un’espressione isolata perché non aveva il desiderio, o forse neanche il bisogno, di abbracciare gli altri. Ma quando si combinano le cose, ecco che nasce la poesia. Quando alla fine diventa poetico, varca qualunque tempo, varca qualunque confine culturale. Ci sono cose realizzate nei secoli attraverso la musica che effettivamente si proiettano nel futuro senza il timore di perdita di interesse, senza il limite del genere specifico.
Davide
Assolutamente. Il poieo sta nella penna del poeta che trova parole nuove, perciò crea immagini. Sta nella penna del musicista che crea suoni. E poi sta anche profondamente nell’esecutore, che è un artista a sua volta, perché quello che ha composto un grande musicista ritrova vita, se esiste un grande esecutore. Una composizione non è di per sé stessa un capolavoro. Perché per quanto mi riguarda, è una composizione grafica, gradevole o meno gradevole, che posso addirittura graficamente seguire, ne percepisci l’andamento grafico. È già immagine. Ma l’interprete – chiamiamolo attore, perché il direttore d’orchestra quando suona, è un attore – mette in atto, crea. Mi ha sempre affascinato, perché è lui che alla fine dà, riesce a far vibrare e coinvolgere. Se no non si capiscono i 25 minuti di applausi a Mosca per Edoardo De Filippo.
Beppe
È veramente complicato. Ma sai, c’è anche un’altra cosa che, in qualche modo, la scienza mi aiuta a inquadrare. Mi sto riferendo a Carlo Rubbia. Carlo Rubbia del 94 ha vinto il Nobel per la scoperta delle particelle elementari, dell’interazione debole. E la cosa che però ha stupito tutti è una formula, che è stata riconosciuta ovviamente dalla comunità dei ricercatori, che ti dice che tutto quello che noi possiamo indagare con la strumentazione più sofisticata che al momento abbiamo, della realtà che ci circonda e quindi ci comprende, non va oltre il 5%. Vuol dire che nel 95%, che non sappiamo esattamente neanche cosa sia, c’è tanta roba che vive e che non sappiamo identificare. E quindi è probabile che in un’esecuzione possiamo distinguere quei caratteri che ci aiutano a dare una definizione. Possiamo dire che era recitata benissimo, possiamo dire tutto quello che ci pare, ma quando noi andiamo a cercare di definirlo nella maniera più scientifica possibile, abbiamo solo descritto il 5%. I 25 minuti in piedi, probabilmente, sono la risposta di una comunicazione che è avvenuta e che non possiamo definire. E’ una trasmissione avvenuta di tante altre cose, che quella composizione e quell’esecutore hanno messo in atto, probabilmente senza neanche una forma di coscienza, se non quella della capacità di immedesimarsi nel ruolo, di entrare dentro la materia, che è quello che poi si chiede a uno che canta, a uno che dirige, a uno che suona. Quello che dirige deve dare indicazioni più efficaci possibili a tutti coloro che suonano perché diventino un’unica cosa e diventino l’anima di quella cosa che sta su carta. Ed è solo disegnata, seppur anche nel disegno abbiamo capacità espressive estremamente profonde.
Tutti gli studi del famoso effetto Mozart, che sono stati fatti dagli anni ‘90 e continuano ancora tutt’oggi, dalle università, dagli studiosi e ricercatori, non prevedono mai l’indicazione di una specifica esecuzione, e gli effetti che si riscontrano sugli animali, sulle piante, e tanti altri che miracolosamente questa musica possiede, sono indagati sulle partiture. Se cambi l’esecutore, l’effetto che loro hanno potuto vedere, poi non sappiamo se ce ne siano altri, ma quello che loro stavano testando, non cambiava. Questo significa che è dentro ancora prima della materia, è già nel pensiero. Come quello di un poeta che scrive: lui nel momento in cui lo porta in segno grafico sulla carta, già in qualche modo ha dato una completezza. E lì torniamo, secondo me, a due parole che hai citato prima di quel famoso bipolarismo: il vero e il non vero.
Davide
La ricerca del vero che è una cosa intima, e quando tu dicevi “si immedesima”, a me veniva in mente il tema dell’abbandono, ossia in quel momento lui diventa pura musica, diventa strumento. Del resto, Dante diceva «I’ mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch’e’ ditta dentro vo significando», ossia l’amor detta dentro ed io sono lo strumento. In quel momento l’attore è uno strumento. Porto sempre questo esempio: un grande giocatore che fa una giocata impressionante, se pensasse di fare quello che ha fatto, si fermerebbe, perciò vuol dire che lui è puro gioco in quel momento. E del resto anche in musica: voi stessi dite in francese, jouer au piano, to play in inglese, ma che cos’è il gioco? Questo: mettersi in gioco. Vedi come andando avanti riusciamo a intrecciare cose e a ricreare e avvicinarci di più a quello che tu prima hai detto, il vero, che poi, se è vero, è buono, e se è buono, è giusto.
Beppe
Esattamente, questo è il percorso. E noi, secondo me, in quel 95% che non riusciamo a gestire, abbiamo la capacità di percepire il vero. Il vero risuona dentro di noi, il vero ci emoziona, perché è vero, è vero come il fatto che esistiamo. L’inghippo è proprio nella non accettazione di quello che sentiamo, e dandogli un nome faremmo un passo fondamentale della vita spirituale. Perché io poi penso che la differenza tra il cervello e la mente, che è fondamentale, è che la mente vive nello spirito e il cervello vive nel cranio.
Davide
Vedi, la mente vive nello spirito, se no la mente mentisce. La mente mentisce se non vive nel vero e se non vive nel buono.
Beppe
Poi tra l’altro, il cervello è organizzato in una maniera tale da agire come filtro, ed i filtri sono culturali, sono dati da esperienze vissute, e quindi, probabilmente, con alcune parole si attivano delle paratie, per cui ci chiudiamo, ci isoliamo all’ipotesi di un’intrusione. Il cervello ha questo, che ci è di tantissimo aiuto, ma in maniera non controllata. Nelle neuroscienze ci sono tantissime evidenze delle capacità mentali. Sto lavorando su questo libro su Mozart, e mi costringe a confrontarmi con molti biografi che hanno indagato lettere, documenti e che hanno fatto ricerche sulla sua vita. E quindi, il quadro di quest’artista, in qualche modo mi riconnette ad una forma di sensibilità assoluta. Tu hai citato Dante, che rimarrà e si proietterà avanti nel mondo, così come è arrivato fino ad oggi. Allo stesso tempo sarà Mozart, e lo saranno anche Beethoven, Bach. Ci sono alcuni di loro che veramente non temono nessuna forma di ossidazione del loro pensiero, perché il loro pensiero, come dicevamo prima, diventava musica, mentre lo trascrivevano sul pentagramma. E nell’approcciare alla vita di Mozart, che è rimasto fanciullo fino alla fine, con la parte più bella dell’essere fanciullo, che è l’ingenuità. Noi spesso usiamo la parola ingenuo riferita a qualcuno che non è stato avveduto, che non si è accorto di quel segnale che l’avrebbe potuto difendere da qualcuno che l’ha turlupinato. Invece noi, strada facendo, perdiamo il valore dell’ingenuità, ed è anche tutto sommato corretto dal punto di vista dello scorrere della vita, ma la grandissima conquista, è tornare in possesso di quell’ingenuità con la consapevolezza di una vita vissuta. E io quello che ho notato nel giovane che si apprestava a morire, perché nelle lettere si dichiarava a Da Ponte, è che già ammetteva che lui vedeva avvicinarsi la sua fine, ma allo stesso tempo, nella musica che stava scrivendo, in quel preciso momento, ci stava una straordinaria ingenuità. Io parlo del Requiem. Stava affrontando un tema del dolore, eppure mentre doveva raccontare il dolore, non poteva far a meno di stupirsi della meraviglia della vita. E, infatti, l’unico rammarico suo è che temeva di non avere il tempo per renderlo perfetto. Ancora una volta, l’obiettivo, non era la sua salute, il salvarsi da quella condizione, ma era il fatto di rendere quella cosa nella maniera in cui andava resa. E nella musica ci sono questi contrasti improvvisi, dei guizzi di vitalità, che sembrano quasi irridere il concetto di morte, ma era, secondo me, semplicemente il fatto di aver superato la paura. Aver superato la paura di morire, di abbandonare questa vita, anzi, in qualche modo ci stava una serena accoglienza dell’evento.
Davide
Assolutamente, ingenuità. Pensa quando è stato creato questo lemma: colui che non si inginocchia, perciò non rende omaggio a nessuno, cammina, ingenuus, non inginocchiato mai. Il bambino non si inginocchia a niente, cammina sempre. Ed è meraviglioso che lui fosse ingenuo fino alla fine, non c’è dubbio, perché ha camminato fino alla fine. Lui andando verso, camminando, non curandosi della vita, in realtà lo faceva, perché la musica in quel momento era la vita.
Beppe
Ho i brividi, perché, sempre in questa lettera a Lorenzo Da Ponte, lui dice “il lavorare mi è più di sollievo che il riposo”. Perché lui, mentre lavorava, si immergeva in una condizione di totale beatitudine. Se uno volesse essere di parte, la speranza era che in qualche modo la musica riuscisse a salvarlo. Ma una cosa meravigliosa della musica di Mozart, è che se non ha salvato lui, ha salvato un sacco di altre persone. Non è riuscito a salvarlo dalla sua letale malattia, però la sua musica ha salvato, veramente, migliaia e migliaia di persone.
Davide
Ed è la vera sua agonia. Se pensi che agonia viene da agone, lotta, la sua vera agonia era questa, una lotta fantastica, dove lui però camminava e andava dritto. Ed è bellissimo, queste sono cose che mi emozionano. Perché sono profondamente nel vero.
Beppe
Sì, vedi, ci emozionano perché riconosciamo una verità. In questo momento, noi stiamo riconoscendo una verità e questo ci emoziona.
Davide
Stiamo ri-conoscendo, ma se tu pensi, nel dialogo, come stiamo facendo noi, tra due amici, ci stiamo ri-conoscendo tra di noi, e il resto, sono tutti linguaggi e pretesti.
Beppe
Io mi rendo conto che attraverso la musica ho scoperto poi di riuscire a collegarmi a tante altre cose. Ma prima non pensavo a questo, prima mi sembrava che la musica fosse un campo ristretto della vita di un individuo e che non saprei fare altro. Però mi accorgo invece che dalla musica, con grande piacere, passo ad altro. Questo mi permette anche di affrontare il mondo della musica con relax maggiore. Non so quanto scriverò nella mia vita, se scriverò tanto, se scriverò poco, se continuerò a farlo, se avrò pause, se non l’avrò, ma qualunque cosa non mi turba più. Vado avanti con serenità. Qualche volta succede che mentre vai in auto, stai facendo un viaggio, parte nella testa un’immagine, in questo caso un’immagine sonora, che ti dà piacere, e pensi che quella cosa la vuoi fermare per poterla rivedere così come si fa una fotografia di un luogo bello. Allora a quel punto ricorri a quello che conosci della tecnica della materia, e quindi prendi carta e penna e provi a fermare questa cosa, immagini strumenti, immagini note, immagini disegni di questo suono. Innanzitutto lo fai per te. Poi è chiaro, abbiamo fasi in cui subentra la parola lavoro, che è un’altra cosa, è il nostro obbligo sociale. Per delle immagini, o per chi deve cantare per un concerto, ma anche quando entro in questa dimensione del lavoro, non voglio perdermi la gioia che questo lavoro possa comunque regalarmi uno stato di piacere, di estasi. Se no è meglio accontentarsi della pensione, fare altro, prendersi cura delle piantine del giardino, perché poi ti daranno dei frutti, potrai gioire con i nipoti a vedere come cresce un vegetale e com’è generosa la natura da darti cose belle. La musica rimane la cosa centrale, ma allo stesso tempo è generosa e mi lascia spazio per poterla coniugare, perché poi alla fine faccio altro che coniugare la musica a tutto il resto. Lo faccio a parole, non soltanto con gli strumenti o con la bacchetta, che non uso più tra l’altro, uso solo le mani.
Davide
Se tu sai coniugare bene, poi nascono dei figli. Questo vuol dire coniugare. I coniugi si coniugano e si congiungono, e dopo figliano. L’arte è questo: sapersi coniugare con tutto quello che ci siamo detti.
Beppe
Per esempio, in questo io mi reputo un armonizzatore, nel senso che mi occupo di mettere insieme più linee, e quindi mi occupo della famosa polifonia, e si crea un tessuto, non una linea. Ecco, questa tessitura, ai miei occhi, alle mie orecchie e alla mia mente, ha forme complesse, ma che cambiano costantemente e continuamente. La mia ricerca è quella di una coerenza tra tutti gli elementi che partecipano al tessuto. Non può esserci un filo che non abbia il suo senso dall’inizio alla fine, anche se a un certo punto si interrompe, ma deve riprendere, cioè deve avere la sua logica all’interno dell’intero tessuto. E questa logica è una logica che ha a che vedere anche con i numeri. Quindi è scomponibile anche all’occhio, dei pieni e dei vuoti, che si vedono in una partitura, ma è scomponibile in numeri. E come tale, è leggibile da un’altra parte di noi. Perché non tutti siamo fatti nello stesso modo, c’è chi percepisce la complessità di una musica e ne è affascinato perché riesce a vederne con la mente il disegno che riesce a creare. Così come noi non possiamo vedere come le molecole dell’aria si muovono con il suono. La scienza fa vedere i risultati su mezzi che lo possono dimostrare, come può essere l’acqua, oppure come si faceva anticamente su delle lastre che venivano messe a vibrare, si metteva del sale o della sabbia sottile per vedere come la vibrazione diventava segno. E lì hai gli occhi che possono decifrare l’effetto di un suono, specifico in quel caso, ma anche una polifonia genera un segno. E questo segno può essere letto in tanti modi, per cui torniamo sempre al fatto che c’è una verità, e ci sono tanti modi per indagarla, tanti approcci, tanti linguaggi che cercano di definirla e di riportarla. Sono nato musicista, non so come morirò.
Davide
Io direi che questa cosa dà il senso vero di tutto questo dialogo. Ma tutti quelli che cercano la verità, che cercano il vero, dovrebbero dire la stessa cosa, che sono nati in un modo e poi evolvono in un altro. Cristo dice una cosa meravigliosa, “vi porto la verità rivelata. Conservate dentro di voi il mistero, la verità la dovete cercare continuamente”. Questo è bellissimo, cercare continuamente, perché la verità muta costantemente e la verità è qualcosa che tu vivi nell’istante. Questo è veramente il ben-essere.
Beppe
E spesso succede che quando registri qualcosa, perché in musica si fanno registrazioni con gli strumentisti di opere, di brani, mentre lo stai suonando, realizzando, dirigendo, hai una percezione di totale aderenza con il pensiero che è impresso già nell’opera. Aspetta, saluto un attimo la mia nipotina…
Tu hai la sensazione, mentre lo stai realizzando, di essere nel giusto e nel vero. Quando vai a rivedere la registrazione, potresti, ed è quasi sempre così, non ritrovare quella condizione, perché era specifica di un momento. È la specifica di quell’attimo. E questo rende la materia ancora più bella, perché per quanto noi studiamo e lavoriamo per tentare di afferrarla e di fermarla, in realtà lei cammina. E quindi sta già due passi avanti, e tu insieme a lei, per cui quelli erano due passi indietro, e non ritrovi più l’aderenza che al momento stavi provando.
Davide
Devo dirti che ti ringrazio, sai perché? Perché mi sento bene. Spero che anche tu ti senta bene adesso, dopo questo dialogo.
Beppe
Mi sento bene, sì. Ho imparato un po’ di cose.
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