Dialogo con Michele De Lucchi – #2

Arrivati nel suo studio, Michele ci ha presentato Miciyo Yamada, una sua ospite giapponese esperta di olio d’oliva italiano, che ci ha offerto un tè verde della sua terra. Michele ha carta e penna ed è pronto per la chiacchierata.

Davide

Allora, innanzitutto la premessa: perché Design della Cura?

Questa cosa è nata anni fa con l’inizio violento e drammatico del Covid. Gilda Bojardi mi chiese un editoriale per Interni sul Covid, su quello che stavamo vivendo tutti noi. In quel periodo stavo lavorando su alcune figure del Rinascimento ed ero incappato nella locuzione Homo curiosus. Noi abbiamo un concetto un po’ slittante, da ficcanaso, ma l’Homo curiosus è colui che si prende cura delle cose. E perciò la curiositas era la vera molla che si stringeva all’esperienza, alla conoscenza. Anche Leonardo, quando afferma che “non avvi canoscenza sanza esperienza”, esercitava la sua funzione di Homo curiosus. Allora ho pensato che questo concetto di prendersi cura fosse la giusta modalità con cui relazionarci con noi, l’altro da noi e le cose del mondo. E questa modalità deve diventare una regola. Ecco perché parliamo di design, perché deve diventare un progetto di come uno intende la vita. E perciò questo è il senso di questo incontro, di questi dialoghi, partendo anche dal presupposto che uno che si prende cura delle cose inizia un processo di conoscenza, per cui la cura è conoscenza. 

Dopo aver delineato questa cornice ti chiedo: cosa intendi tu per cura? E quando dici “prendersi cura”, che cosa ti viene in mente?

 

Michele

La prima cosa che mi viene in mente con la parola cura è l’ambito sanitario, medico, ospedaliero e così via. Però certamente subito dopo nasce il secondo concetto di cura, che vuol dire, per certi versi, mantenere, manutenere le cose, prendersi cura nel senso di farle durare più a lungo, di farle diventare più belle… lucidarsi le scarpe e così via. 

Cura della persona, ma anche cura delle cose, cura dell’ambiente. Il contrario di lasciare trasandare, perché avendo cura mantieni più a lungo la vita delle cose, e in certa qual maniera, partecipi di più a quello che succede attorno a te. O meglio,

far sì che tutto quello che ti succede attorno sia controllabile, sia in qualche maniera riferibile alle tue aspettative e al potere che hai di far succedere delle cose attorno a te.

Quindi il design della cura forse di primo acchito lo abbino di più all’idea di durabilità, di partecipazione: prendersi cura dell’orto, prendersi cura del giardino, prendersi cura degli alberi, delle aiuole, dei gelsomini che salgono sulla facciata, mi danno il senso che tutto rimanga, in qualche maniera, nella sua forma più bella, nella sua forma più naturale, nella sua forma più sana e che dura nel tempo. Però hai anche detto che il design della cura, essendo cura radice della parola curiosità ed essendo la curiosità la molla per l’esperienza, in pratica è produrre conoscenza.

 

Davide

Assolutamente. Produrre conoscenza secondo un progetto. E questo è molto importante, perché il processo della conoscenza nasce innanzitutto dall’idea. L’idea è visione – eidon, vedo – e una volta che tu vedi, l’idea crea il processo progettuale fino alla sua realizzazione, fino a renderla concreta – res, cosa. Realizzare vuol dire mettere assieme. In questo caso, se parliamo di architettura, è mettere assieme il progetto, ma il progetto ha compimento quando si attiva la sua funzione. Una casa ad esempio diventa casa quando è abitata. Se manca questa dimensione, non sarà mai veramente una casa. 

Quello che hai detto tu mi è piaciuto: la cura è mantenere viva una cosa. Mantenere viva una cosa vuol dire mantenere vivo innanzitutto se stessi. Vuol dire dar testimonianza della vita. 

 

Michele

E contribuire alla vita e all’esistenza della vita.
Un passaggio molto bello per me che hai citato adesso, è il fatto che un progetto non si realizza se non è messo in funzione. E un progetto è un’idea. Allora mi viene da dire, che cos’è un’idea? E mi sono scritto: il progetto è un’idea, e un’idea è una direzione. È la scelta di una direzione.

 

Davide

Scelta conscia e inconscia. Perché l’idea è il frutto del tuo essere e del tuo modo di esprimerti. Tanto è vero che per il poeta, l’idea passa attraverso il verso, attraverso la poesia.

 

Michele

A conforto e a sostegno di quello che dici, aggiungo un’altra cosa. Io per esempio,

quando mi metto a disegnare, o mi metto a scrivere, conosco l’inizio, ma non so la fine. 

Le cose più belle mi vengono fuori proprio quando lascio che avvengano in maniera più diretta e incontrollata. Incontrollata nel senso di non dovergli dare per forza dei significati, delle posizioni, delle declinazioni. 

 

Davide

Questo è il vero segreto del fare e del saper fare. Per fare e saper fare, è fondamentale l’abbandono. Abbandonarsi vuol dire togliersi tutti quelli che sono i vincoli che ti dà la mente. Perché la mente, mentisce. Mentire vuol dire dare ascolto alla mente. 

 

Michele

Certo che sei forte. È forte quello che dici. 

 

Davide

Invece l’abbandono, ossia abbandonare, vuol dire riuscire a essere se stessi. Prendi Dante: Amor ch’e’ ditta dentro vo significando. Lui è strumento e l’amore è la conoscenza, è Dio, è lo spirito. Ecco la famosa ispirazione. In-spirato, lo spirito dentro.
Iniziare e non sapere dove si va è fondamentale, perché in quel momento sei nella fase creativa, ossia nella fase del fare. Sei uno strumento di un’armonia superiore: questo è l’artista.
Gli uomini in se stessi questa modalità ce l’hanno sempre avuta tutti. Poi si è atrofizzata.

 

Michele

Ti racconto una cosa. Conosci la neotenia? La neotenia è un fenomeno per cui gli uomini, i cuccioli di uomo, ci mettono molto di più di qualsiasi altro animale a diventare indipendenti. In media gli animali diventano indipendenti molto velocemente; un bambino ha bisogno di almeno 3, 4, 5 anni. Le ultime ricerche hanno dimostrato che questo tempo di crescita del cucciolo umano è relativo alla crescita del cervello e, conseguentemente, dello spirito creativo. Senza la neotenia non c’è creatività.

E mi sembra stupendo che la creatività derivi da un fattore di debolezza nei confronti di tutti gli altri animali. Sempre pensando ai primi uomini, ai primi homo sapiens, si trovavano nudi, senza vestiti, senza strumenti, a combattere contro leoni, bisonti, serpenti, elefanti, ippopotami… Cioè, erano l’animale più debole che esistesse, ma forse si sono salvati proprio perché vivevano in piccole comunità e con lo spirito cooperativo tra di loro sono riusciti in qualche maniera a salvarsi, a vincere contro i leoni, le belve… grazie alla creatività. E allora c’è questo racconto per cui gli uomini attorno al fuoco prima della battuta di caccia si raccontavano e si mettevano d’accordo per come fare. Raccontandosi come fare, non solo cooperavano, ma hanno anche inventato l’importanza della narrazione. L’importanza di poter raccontarsi e di poter in qualche maniera predeterminare quello che sarebbe potuto succedere. 

 

Davide

Il primo di questi uomini era lì e intorno a lui nulla aveva senso: animali feroci, leoni, aria, vento, perché non avevano un nome. Le cose hanno senso solamente quando vengono nominate.

 

Michele

Questo succedeva attorno al fuoco. 

 

Davide

E questa cosa dell’uomo di saper nominare ed esprimere, che non hanno gli altri, è meravigliosa. Gli animali hanno l’istinto che è la memoria della specie, ma noi l’abbiamo salvaguardato pochissimo. Certi animali sentono il terremoto tempo prima che accada. C’è un legame totale dentro la natura.
Il momento dell’abbandono è veramente un momento in cui si apre per un attimo la finestra del vero. 

 

Michele

Posso dire una cosa personale? Quando avviene questo fenomeno dell’abbandono normalmente sono preso da una grande paura di sbagliare. Di fare una schifezza. Dico, ma adesso cosa faccio? Perché in qualche maniera perdi il controllo di quello che stai facendo. Te lo dico perché l’ho sentita proprio ieri questa sensazione, sono stato a casa a disegnare e ad un certo momento mi sono accorto che stavo disegnando senza sapere cosa stavo facendo. E siccome stavo disegnando a favore di un progetto e volevo assolutamente trovare una soluzione, ho detto ”sto perdendo tempo”. E invece ce l’avevo lì. 

 

Davide

Non hai avuto fiducia in te stesso fino in fondo.
Dire “sto perdendo tempo” vuol dire che non ti stai abbandonando abbastanza. Stai ragionando troppo con la testa.

 

Michele

E del resto siamo fatti da razionalità e da emotività. Ed è un limite dare un valore superiore all’una o all’altra delle due cose. 

 

Davide

Ecco perché, te che stai disegnando e non sai dove andrai, devi avere fiducia, perché qualcosa dentro di te fiorisce e va, e poi la trovi. Ed è l’intuizione, la fantasia… tutto lavora dentro di te. Il fare è proprio questa cosa. Ma bisogna stare molto attenti. L’ascolto è fondamentale e la prima persona che devi ascoltare sei tu. Se tu impari ad ascoltarti, sei attento a te stesso secondo dopo secondo. Perché noi parliamo a noi stessi continuamente.
Questo è fondamentale. E di fatti succede anche con le malattie, ma purtroppo l’uomo molte volte non si ascolta. 

 

Michele

Continuamente. Sono convintissimo. E oggi ci ascoltiamo sempre meno rispetto a un tempo.

A conferma di questo, sono tornato da un viaggio in Cina con un mal di schiena incredibile. Non hai idea del mal di schiena che ho avuto. In aeroplano tornando, non sono riuscito neanche a distendere il sedile, perché mi faceva troppo male. È strano perché normalmente soffro di mal di schiena, però un mal di schiena così non ce l’ho mai avuto. Allora a casa ho fatto un po’ di cyclette. Le prime volte che facevo cyclette la facevo guardando YouTube, guardando questo, quello, quell’altro. E non passava. Venerdì sera invece l’ho fatto senza guardare niente, pensando solo a quello che sentivo. Oh, lo sai che sabato non avevo mal di schiena?! Sabato mi è passato il mal di schiena.

Ero attento a me stesso

Cioè, ero attento a sentire cosa mi faceva bene e cosa mi faceva male, se andavo troppo veloce o andavo troppo piano. E in effetti il fatto di tenere in movimento i muscoli, i tendini, la gamba sinistra, perché il mal di schiena era tutto sulla sinistra, mi ha fatto passare il dolore. 

 

Davide

Vedi che tutto il corpo è intelligente. 

 

Michele

Però purtroppo va alla mente, che mente. 

 

Davide

Sì, ma è un nostro modo di agire. L’uomo può essere benevolo, malevolo. Perché la lotta tra il bene e il male comunque non è una retorica, è un dato di fatto. 

 

Michele

Ma certo, ma certo. Questo è un argomento che mi interessa molto, come funzionano gli opposti. Tu hai appena citato il bene e il male, così come c’è il chiaro e lo scuro, c’è il buono e il cattivo, c’è il giusto e lo sbagliato, ci sono tutti gli opposti. C’è l’amaro e il dolce, e c’è la corrente… il positivo e il negativo. E qui, secondo me, sta uno dei parametri più belli per andare a capire che cos’è il pensiero, che cos’è il ragionamento, che cos’è la mente e come gestire questi opposti. Perché appunto, come dicevi, il male esiste come esiste il bene, e non esisterebbe il bene se non esistesse il male, e la corrente non sarebbe energia se non ci fosse il polo positivo e il polo negativo. 

Il tema della Giornata del Design Italiano nel Mondo quest’anno è “Inequalities”, che è il tema della triennale di Stefano Boeri, e l’inequità è una parola, un concetto che secondo me non ha il suo opposto, nel senso che è un concetto solo negativo.

 

Davide

Equo è il suo positivo – equo, equità, æquus – infatti la bilancia è il simbolo della giustizia, dell’equità, ed è bendata perché non deve vedere se tu sei re o contadino. La bilancia è equus, deve essere pari. 

 

Michele

In questo senso, la bilancia è l’unica posizione nella quale c’è il bilanciamento. Perché tra luce e buio la via di mezzo non c’è, ci vedo male oppure ci vedo troppo. 

 

Davide

Questa dell’æquus è una categoria che nell’uomo diventa il vero metro per essere in armonia in una comunità. Perché l’iniquo è sempre riferito all’altro da te. Nella comunità, puoi essere iniquo, oppure puoi essere in armonia. Tu hai citato l’uomo che prima di formarsi, era uomo raccoglitore: immaginati che mette in bocca qualcosa e dice “buono” oppure mette in bocca e pensa “non buono”. Non a caso la parola sapere viene da sapore: è dal sapore che tu conosci. 

 

Michele

Sisi, infatti i bambini piccoli si mettono in bocca tutto. 

In Giappone stiamo disegnando una scuola ed affrontare il tema della scuola è molto interessante oggi, perché vuol dire affrontare il tema di come entrare in contatto con la conoscenza e di come entrare in contatto con tutte le opportunità di sapere che abbiamo oggi, con le tecnologie, con il web, con internet. 

 

Davide

Questo ti pone un problema molto interessante. Perché se tu le tecnologie le fai diventare strumenti per la conoscenza, allora vuol dire crescita dello spirito. Ma se tu le fai diventare ideologie, le ideologie uccidono lo spirito. 

 

Michele

L’ideologia è sempre connotata negativamente, in qualche maniera è qualcosa che sterilizza la tua conoscenza, la limita.

 

Davide

Limita. Perché devo essere libero. Pensa ad esempio all’architettura, il giorno in cui è nato il razionalismo si vede che c’era bisogno di questo. Ma una volta che ho sentito questa esigenza del razionalismo e lo applico, a un certo punto dentro di me devo avere l’urgenza e la costante di mettermi in dubbio.

 

Michele

Anche semplicemente di coniugare quella… 

 

Davide

Bravo, hai usato la parola giusta: coniugare. Se tu non coniughi, non dai figli. E se tu non coniughi, non hai idee. Ti sembra di avere idee, ma persisti su una cosa che è sterile, senza che te ne accorgi. Diventa solo stile.

 

Michele

Quindi io che mi faccio scrupoli che non ho un unico stile… 

 

Davide

Sei un uomo molto fortunato! Ma senza demonizzare lo stile, ci deve essere sempre la volontà di cambiare. 

 

Michele

Anche perché cambiano gli ambienti, si evolve il mondo, cambiamo noi.