Dialogo con Sara Doris – #9

Abbiamo invitato Sara al ristorante e bar 10_11 (si pronuncia Ten Eleven) di Portrait Milano, l’hotel di lusso in Corso Venezia. Assieme a lei è venuta Alexia Merlo, responsabile dell’ufficio media. Un caffè americano per tutti, seguito da una deliziosa selezione di dolci portata personalmente dal pasticcere del Portrait, Cesare Murzilli.

Davide

Che differenza c’è secondo te tra il “prendersi cura di” e la “sostenibilità”?

Sara
Tornando alla cura… La cura è l’attenzione ai dettagli, affinché tu possa mettere l’altro nelle condizioni di manifestarsi. 

 

Davide

Questo però vale per tutte le cose.

 

Sara

Per tutte le cose: ma infatti, quello che sono io in questo momento è grazie a tutto ciò che ho vissuto e ho visto incarnato da altri, no? Perché tu impari imitando. Inizi a camminare e per imitazione guardi, cadi, ti rialzi. Se io guardo tutta la mia storia, chiaramente il mio riferimento maggiore è mio padre, ma anche mia madre. Non è tanto ciò che loro mi hanno raccontato, ma ciò che gli ho visto vivere tutti i giorni. 

 

Davide

Dici giusto… Imitazione, mimesi.

 

Sara
Perciò non le parole, ma i fatti, i gesti. Poi mio padre era anche bravissimo con le parole, ma perché le sue parole ti catturavano? Perché arrivavano dalla sua autorevolezza e l’autorevolezza arrivava dal fatto che lui incarnava quelle cose. Non era qualcosa che aveva letto e “ah bella, la trovo giusta, te la racconto”. No, no, io la vivo e quindi te la so raccontare benissimo perché la vivo. Ma soprattutto, dai l’esempio con i fatti. 

 

Davide

Ennio era un uomo di esperienza nel senso vero della parola. Come dice Leonardo, “non c’è conoscenza senza esperienza”. La parola “esperienza”, che viene dal latino esperire, vuol dire conoscere. Ma per conoscere, tu mano a mano che vivi la vita, devi avere un’attenzione totale.

Io ho vissuto molto vicino a Silvio (n.d.r. Berlusconi): ogni cosa era un’opportunità! Così era Ennio.

 

Sara
E si assumeva sempre le sue responsabilità. 

 

Davide

Quella è la base, è il presupposto della credibilità.

 

Sara
Ma infatti, ieri sera ero a Pontremoli a presentare il libro su mio papà, con tutti i nostri clienti e family banker in un teatro. 

Ho fatto vedere due minuti di video di mio padre alla nostra convention nazionale. Era il 9 marzo 2009, lui era sul palco, in platea tutti i 4000 family banker, operatori di sede eccetera, tutti radunati… Tu immaginati che momento era: appena sei mesi prima era successo quello che era successo… Lui aveva una carica pazzesca. La convention si chiamava “Io non ho paura” e avevamo fatto una sorta di cuscinetti, da tenere in mano, con scritto “Io non ho paura” su tutti i sedili di tutto il palazzetto. E c’era mio papà sul palco che urlava “Io non ho paura, e vi spiego perché!”. Diceva una cosa molto semplice, “Io non so quando finirà questa crisi, ma so che questa crisi finirà! Perché

la risorsa numero uno del pianeta non è il petrolio, non è il sole, non è la tecnologia. La prima risorsa di questo pianeta è la mente umana,

che tutti i giorni crea e trova soluzioni. Non so quando finirà, ma certamente finirà. E questo è il momento per essere decisi, per investire…”. Perché con i ribassi tu investi con lo sconto, fondamentalmente, se hai la strategia giusta, no? A lungo termine, con diversificazione eccetera. E puoi avere dei vantaggi enormi. Noi dovevamo essere decisi. 

Ma perchè vanta questa autorevolezza? Perché sei mesi prima si era assunto la responsabilità e aveva detto “rimborso i miei clienti”, per far vedere che noi siamo diversi. Perché mio papà, quando raccontava della sua Mediolanum — e per lui ogni occasione era buona perché era la sua creatura — diceva “noi siamo diversi, il cliente è al centro, la banca costruita intorno a te, la consulenza personalizzata, ti stiamo vicino tutta la vita”. Tutti erano scettici e mio papà si innervosiva per questo, anche perché essere contraddetto non è che gli piacesse molto. Lui credeva in quello che diceva. 

E quindi in quell’occasione, il 15 settembre 2008, quando ci fu il crack, lui disse “abbiamo l’occasione di fare una cosa straordinaria”. Perché quando le cose vanno bene, sono bravi tutti. Quando le cose non vanno bene, è lì che puoi fare la differenza. Certo, ti costa eccome. Non è che sia facile. Però hai l’occasione per distinguerti dagli altri. Quindi 11 mila clienti, a dicembre, tre mesi dopo, sono stati rimborsati. E non con il denaro di Banca Mediolanum, ma con il denaro privato di Ennio Doris e del suo socio Silvio Berlusconi. Mio papà andò da Silvio, gli disse “Silvio, io voglio fare questa cosa, se vuoi la facciamo insieme, se non vuoi la faccio da solo”. E Silvio disse “quel che fai tu, faccio anch’io”. Stima e fiducia totale. Lavorarono legali, esperti, Banca d’Italia, tutti insieme per trovare la soluzione per fare una cosa secondo le regole. E la fecero nel giro di tre mesi. 

Quindi tornando a quello che ci siamo detti, all’esperienza, lui aveva l’autorevolezza nel dire “io non ho paura”. Non era solo uno slogan: ti ho dimostrato che quando c’è da rimboccarsi le maniche ci metto le mie tasche. 120 milioni in due non è che siano briciole. 

A volte la cura può essere un gesto enorme come questo, no? Ma la cura in realtà sta nei dettagli. Quando mio papà riceveva i clienti che andavano a Milano3 in presidenza da lui, li portava, soprattutto all’inizio, a visitare l’azienda, gli studi televisivi, e diceva “la nostra cosa più importante è la tv aziendale, la comunicazione… Quello che tu comunichi, quello che tu racconti di te, è importantissimo. Quello che fai arrivare. E anche il museo, che sono le nostre radici, i nostri valori”. E poi li portava a vedere il banking center, perché lì ci sono i nostri interlocutori che parlano con i clienti e rappresentano la banca in quel momento. Quindi doveva essere eccellente. Mi ha raccontato Lamberto Mencarelli, che in quel momento era capo del banking center, che un giorno mio papà va giù con un cliente e vede una tapparella che era leggermente storta, evidentemente era uscita dall’asse. Mio papà gli fa “Lamberto, ma come fai a lavorare così?!”. 

 

Alexia

Anche a me aveva sgridato una volta, perché avevo l’iPad col vetro rotto, era caduto. Eravamo ad un evento, non mi ricordo, forse a Firenze, e mi ha detto “tu in questo momento sei in giro con me, ma rappresenti l’azienda”. E figurati, avevo 28 anni, quindi sono tornata a casa sconvolta. Il giorno dopo ho chiamato Gianni e gli ho detto “Gianni, dobbiamo ripararlo subito! Mi ha sgridato il signor Doris!”. Erano i primi iPad aziendali… A me funzionava lo stesso e andava bene! Anzi, io ragionavo nell’ottica di contenimento di costi.

 

Davide

Ma la cura, per prima cosa, è verso se stessi. Ecco, rispetto alla cura verso te stessa: che cosa ti obbliga? Perché la cura obbliga.

 

Sara
La cura obbliga. Hai detto una cosa bellissima, grazie. Certo, la cura obbliga.

Guarda, per quanto riguarda me, Sara Doris, la cura verso me stessa è parlarmi bene. Anche questo deriva sempre dagli insegnamenti di famiglia. Quindi, dicendolo in maniera più semplice, nell’essere ottimista e nel cercare di vedere sempre cosa puoi fare, no? Perché papà diceva che essere pessimisti è tecnicamente sbagliato, sia il pessimista che l’ottimista vedono i problemi, non è che l’ottimista non li vede. Ma la grande differenza è che l’ottimista pensa che ci siano le soluzioni. Quindi le cerca, le trova, le mette in atto, cambia le cose. Il pessimista non le cerca, non le trova, non cambia e avrà ragione. 

L’essere umano, per natura, è portato a non notare ciò che va bene, perché quello già è a posto, ma a concentrarsi su ciò che ci allerta. Però non ti devi far trascinare troppo da ciò che non va. Perché anche adesso, se apri i giornali o accendi la televisione e ti fai sopraffare da tutto ciò che non va… Ti affossa, no? Perciò

avere cura di me stessa, è avere cura di ciò che mi racconto. Della mia narrazione. 

 

Davide

Sai come si dice, “uno che si racconta, si suona…”. E di fronte al dolore e alla sofferenza, come ti poni? Che ricucitura c’è? Perché lì bisogna rammendarsi bene…

 

Sara
Certo, quello è il momento più difficile, perché, come si diceva prima, quando le cose van bene è facile essere positivi, quando invece c’è il dolore… 

 

Davide

Ecco, dolore. Sofferenza e dolore: ci sono varie sfumature di negatività che ci aggrediscono. Adesso, da qua, raccontami tu come sei, come ti racconti e anche come ti raccogli! Non solo raccontare, perché per raccontarsi bisogna tirarsi su.

 

Sara

Mi raccolgo cercando tutti gli aiuti possibili, che vanno dallo stare con le persone che ti vogliono bene, e grazie al cielo ne ho tante. Quindi le amicizie di sempre, no? Che ti fanno sentire accolta per ciò che sei, che ti conoscono come sei. Ho la fortuna di avere un rapporto meraviglioso con mia mamma e mio fratello, con i miei figli, con le persone con cui lavoro… E quindi, ecco, per me, nei momenti di dolore, stare con le persone che per me sono famiglia… Questo mi allevia la sofferenza, mi fa sentire meno sola. 

 

Davide

E ciò ti porta verso una guarigione?

Sara
Mi porta verso una guarigione, perché sento l’abbraccio. Io sono fisica: abbraccio e mi faccio abbracciare. Poi c’è l’aspetto spirituale, che per me è fondamentale. L’ho vissuto in famiglia, da mia nonna che era estremamente credente e praticante a mio padre che nel tempo ha sviluppato una fede sempre più forte. 

Penso per esempio ai bimbi: io sono mamma di 5 figli e molto spesso non risolvi il problema, ma lasci che si scontrino e riprovino. E gli dici “no”. I no sono estremamente formativi, se hanno una direzione chiaramente. 

 

Davide

Oppure li lasci liberi di decidere.

 

Sara
Sì. A volte ci sono sofferenze e tu gliele vorresti togliere, ma non puoi, perché? Perché devono superarle, farne esperienza e diventare più forti. Io faccio un buon esercizio: mettere distanza, pensando a questo mistero della vita, che è un mistero talmente grande che non puoi spiegare razionalmente. Perché siamo troppo piccoli e penso che ci sono delle vie che non ti risparmiano dalla sofferenza, ma sono la tua occasione. E’ lì che puoi cambiare, crescere, migliorare. Quindi si fa fatica perché in quel momento tu piangi, altro che un’occasione di crescita… tu sei lì che piangi. 

Infatti mi contorno di persone che mi vogliono bene, ma la mia narrazione è quotidiana. Mi alzo, apro il Vangelo, ascolto… Mi riporta a quelle poche – tre, quattro – cose della vita, che sono l’essenza. E ci riprovi ogni mattina, ogni mattina, ogni mattina. 

 

Davide

Rispetto alla cura e rispetto al concetto di fede e mistero… Tu davanti a una soluzione, cerchi “il giusto”. La fede non porta al giusto, la fede porta alla saggezza. È un altro discorso. E il saggio non è giusto, è saggio.

 

Sara
E la saggezza arriva dall’esperienza. 

 

Davide

Assolutamente. La saggezza è una visione ulteriore, che sta sopra alla giustizia.

 

Sara
Sono d’accordo. 

 

Davide

Perché, per esempio, la giustizia non prevede il perdono, la saggezza sì. La giustizia è cieca, è equilibrata, perfetta. Dura lex, sed lex. Mentre la saggezza implica il perdono. Questa è la grande, grande differenza, e questa è la cura.

 

Sara
Un altro elemento, stavo pensando adesso, è l’educazione. Per avere cura di te, ti devi educare.

 

Davide

Certo. Tutti i giorni.

 

Sara
E ancora una volta, quello che stavo dicendo… Prendere riferimenti dall’esperienza, nel mio caso per la maggior parte da chi mi sta vicino. Come abbiamo ben detto: mio padre, ma anche i miei nonni, con cui ho vissuto. Loro si amavano. 

 

Davide

Tutti e due?

 

Sara
Tutti e due. 

 

 

Davide

Materni e paterni?

 

Sara
Sì.

Davide

Beh, se diria culo!

 

Sara
Culo, sì. Però mio papà un giorno mi disse: “Sara, l’amore è una decisione”.

Davide

Sono totalmente d’accordo. È una decisione.

 

Sara

E io gli dissi “papà, ma scusa, quando hai visto la mamma, ha iniziato a batterti il cuore”.

“Sì, ma quello non è l’amore, è diverso. Quella è la passione, che fa sì che tu ti senti attratto da un’altra persona e abbia voglia di conoscerla. Quando tu, soprattutto agli inizi, sei veramente preso dalla passione, non capisci più niente! Non riesci a lavorare, a studiare. Nel momento in cui passa la passione, vedi la persona per ciò che è, con i suoi pregi, i suoi difetti. Ti togli quegli occhiali rosa che ti ha messo in automatico la passione, per cui ti sembra che l’altro sia perfetto. E in quel momento, decidi che vale la pena amarla per com’è, per come la vedi”. Lui si riferiva al momento in cui decidi di avere una famiglia, di avere dei figli. E da quel momento, quando hai deciso, tutti i giorni, devi fare qualcosa per quella decisione che hai preso. Coltivarla, tutti i giorni.

 

Davide

La cura è coltivare.

 

Sara

Esatto, esatto. Questa cosa… cavoli, mi ha dato una serenità… Perché pensi “ma allora non sono in balia per forza di emozioni che vanno come il vento!”. Se veramente vuoi, puoi decidere anche quello! Credo che nel caso di mia mamma e mio papà sia stato così, perché mio padre ha avuto il modello in casa di mio nonno e mia nonna, che a 13 e 18 anni si sono iniziati a frequentare, dove tutti i giorni c’era cura e narrazione. Mio nonno diceva a mio padre “Ennio guarda com’è bella tua mamma” e mio padre diceva a me e a Massimo “ragazzi guardate com’è bella vostra mamma!”.

 

Davide

È stato educato!

 

Sara

È stato educato! Poi è ovvio, anche mio papà si sarà innervosito con mia mamma e mio nonno con mia nonna. Come con i figli… “Te coparia”.

 

Davide

Dall’altro lato si dice “te magnaria”… È sempre un fatto fisico.

 

Sara

Però, la cosa che poi ho scoperto in più: non basta che la pensi solo uno dei due. Perché se l’altro non crede che l’amore è una decisione, non può essere unilaterale. E quindi la fortuna è di trovare, nel loro caso, nella coppia, anche l’altra persona che pensi questo, sennò non funziona.

 

Davide

Però non solo pensare, sentire anche.

 

Sara

Pensare e sentire, sì. Ma i tuoi pensieri guidano… se ti svegli la mattina, anche se ti è successo qualcosa che ti pone un po’ male, puoi comunque dirti “no, è un nuovo giorno, c’è anche domani”. Come mio papà, anzi mio nonno, che diceva “c’è anche domani”. E inizi a parlarti bene… L’altra sera stavo leggendo Nelson Mandela. Anche là, no, il dolore. È stato 27 anni in carcere, per qualcosa in cui credeva. Io dico, la forza, uno così, dove la trova? Però si può soffrire per rimanere fedele a ciò in cui credi, che poi lascia un segno.

 

Davide

Hai detto si può soffrire: la sofferenza non è il dolore, la sofferenza è la capacità di sopportare il dolore. Nell’etimo della parola, suffero vuol dire “sopporto il dolore”. Sofferenza… Tanto è vero che nella religione cristiana, dicono “beata la sofferenza” perché è beato chi riesce a sopportare il dolore, non è beato il dolore.

 

Sara

Assolutamente, ho letto questa cosa… non mi ricordo chi l’ha detta, ma diceva “se il male sapesse quanto è conveniente fare il bene, farebbe il bene per pura malvagità”. Perché quando tu fai il bene, ti senti bene. Quindi se sei egoista, devi fare il bene. Curi te stesso dando agli altri. 

 

Davide

Evidentemente questa è una pratica quotidiana.

 

Sara

Infatti, quando hai cinque figli ti chiedi quale sia la cosa migliore affinché stiamo tutti più o meno bene. E se stanno bene loro, sto bene io. Quello è un allenamento pazzesco nell’essere madre, perché tu in maniera quasi automatica ti metti da parte per fare focus sulle persone di cui ti devi occupare. Per esempio, per me il cavallo è sempre stato un simbolo di libertà, fin da bambina. Ho ripreso ad andare a cavallo e sono andata a farmi una vacanza in Wyoming da sola, a giugno, in un ranch dove hanno bestiame eccetera. Molto spartano, e mi è piaciuto un sacco. Ma non l’avrei mai fatto dieci anni fa, con i bambini piccoli, non me lo sarei neanche goduta. Quindi ecco, c’è un tempo per tutte le cose. 

 

Alexia

Infatti vista dall’esterno, la vostra famiglia ha un senso di solidità e serenità trasversali, che riuscite poi a donare anche a noi. Io lavoro in banca, quindi anche per noi dipendenti questo si percepisce. 

Ieri eravamo a Dublino, c’era una giornalista storica del Sole 24 Ore, legatissima a tuo papà, che diceva “è tutto assolutamente credibile, perché ce lo trasferivano!”. Stare di fianco a voi ti solleva…

 

Sara

E per me, tornando alla cura, anche con ciò che dice Alexia… Per me per esempio, il lavoro ti sostiene, ti dà da vivere e anche bene. Ma, come diceva mio papà in un video… Se fosse stato solo il guadagno, bastava molto meno! Cosa te ne fai? C’è qualcosa di più! E perché sei sempre lì? 

 

Davide

Costruisci.

 

Sara

Esatto, costruisci e interpreti la vita, e anche il lavoro, come un’occasione per lasciare un segno del tuo passaggio, per fare la differenza. E nel mio caso la differenza, dove la facevo? Come madre, perché solo la madre può fare la madre… ed è la priorità. E nel caso dell’azienda, io la sento come eredità valoriale che è stata data a me, a Massimo e a tutti i diecimila che siamo in Mediolanum, proprio come una squadra. Per esempio, in Mediolanum io ho questa attitudine: amo stare con le persone. Mi piace proprio esserci col cuore. 

Quindi mi sono occupata della fondazione Mediolanum, del portare avanti i valori di mio padre, raccontandoli col libro, andando a incontrare i clienti. Mio fratello è un asso nel fare l’amministratore delegato. Io chiaramente avendo fatto la mamma ho lavorato di meno, mi sono occupata della fondazione.

 

Davide

Però hai sviluppato il concetto di rapporto.

 

Sara

Di rapporto, esatto, insieme a Massimo che è oberato di cose da fare. Perché chiaramente poi siamo diventati anche una banca di dimensione sistemica. Insomma, è talmente occupato nella quotidianità di tutta questa macchina enorme, grandissima che ha, che mi sento fortunata nel poter dare a lui e a tutta l’azienda, un sostegno nella dimensione dei rapporti, che è un po’ quella che tra l’altro ha contraddistinto la nostra impresa. Quindi non devo andare in giro a parlare di finanza, di economia, di business. In azienda abbiamo tutti gli altri che sono molto più bravi di me, più competenti. Che lo facciano loro. Io mi occupo di continuare a tessere i rapporti, ma non con lo scopo del business. Il business è una conseguenza. Il denaro che raccogli è una conseguenza del riconoscere, dell’avere un ruolo.

 

Davide

Voi non siete finanziari. Siete imprenditori. Ennio è stato un grandissimo imprenditore. 

Come dico sempre, quando dicono che la gente ha la testa tra le nuvole, che i poeti hanno la testa tra le nuvole… No! I poeti hanno la forza del civismo. Perché il poeta deve svelare una verità che non c’è. L’imprenditore sogna, cerca di realizzare il sogno. Non vede la verità, perché guai… Ma vede il sogno, vede il progetto e va verso il progetto. Perché se dovesse essere poeta, si fermerebbe.

 

Sara

Sì, apre la strada.

 

Davide

È vero. La vera dimensione poetica ce l’ha l’imprenditore. Difatti, diciamo, il mondo, se viene strozzato, viene strozzato dai finanzieri, non dagli imprenditori. Gli imprenditori hanno sempre sviluppato il mondo.

 

Alexia

Soprattutto in Italia. 

 

Davide

L’altro giorno ero con Oscar Farinetti, e giustamente lui mi dice “i più grandi imprenditori del mondo sono gli italiani!”. E ha ragione, se ci pensi. Guarda anche tutti gli artigiani, i contadini, che sono di fatto imprenditori. E guarda che energia che hanno, la qualità. Dobbiamo tutelare questo, perché se massifichiamo, avremo perso tutto.

 

Sara

No, infatti. È la nostra caratteristica. L’Italia delle province, delle botteghe, dei comuni.

 

Davide

Comunque, mi è piaciuto molto dialogare con te.

 

Sara

Anche a me.

 

Davide

Perché sei sempre stata sincera. Io sento subito quando uno è finto. E tu non hai paura di toglierti il velo. E questo è svelarsi, no?

 

Sara

Togliersi il velo, assolutamente.